Roberto Grattacaso massimo esperto di risk management autore del libro

Ciao a tutti e benvenuti in questa nuovissima intervista di Bookness. Per me è veramente un grande piacere avere dall’altra parte un grande esperto di come “Creare valore dalla gestione dei rischi”.

Si chiama Roberto Grattacaso. Dicci chi sei e di che cosa ti occupi.

Ciao Emanuele. Sono un risk manager e amministratore delegato di una management company in Lussemburgo. Mi occupo di rischi fondamentalmente, ma per fortuna non nell’esclusiva accezione negativa ma creo valore attraverso la gestione dei rischi ed è proprio questo il titolo del mio libro.

Considera che per persone, magari come me e te, che operano nell’ambito dell’impresa a più livelli, sono dei concetti che sono familiari. Mettiamoci ora nei panni di chi magari sta guardando questa intervista e non conosce cosa significa gestire il rischio all’interno di un’azienda. Che cos’è il risk manager?

Il risk manager è il responsabile del processo di gestione dei rischi e molta gente mi chiede che cosa significa rischio, qual è il significato. Molto spesso c’è un’accezione negativa che viene attribuita a questo termine. In realtà occuparsi di rischi vuol dire prima di tutto sbloccare il potenziale.

Perché d’altronde, i rischi cosa sono? Sono quegli ostacoli che impediscono all’imprenditore di raggiungere in maniera ottimale i propri obiettivi nella quotidianità. I rischi sono insiti in tutte le attività che ogni giorno l’imprenditore compie. Ci sono nei processi di produzione dei beni e servizi, nella governance dell’azienda, nei rapporti con i dipendenti e con i fornitori.

Occuparsi di gestire i rischi significa fondamentalmente analizzarli e mapparli, per poi farli emergere, conoscerli e misurarli. Successivamente, è necessario implementare progetti che possano mitigare questi rischi, sbloccando così il potenziale dell’impresa. Questo consente all’imprenditore di raggiungere i propri obiettivi in modo più semplice, riducendo al minimo l’esposizione ai pericoli che possono derivare dall’esercizio della propria attività.

Hai realizzato “Total Risk” e il sottotitolo va proprio nella direzione che ci hai appena indicato “Creare valore dalla gestione dei rischi”. Dacci degli elementi più specifici, su che tipo di valore.

Assolutamente sì. In realtà, come dicevo poc’anzi, l’accezione è tutta italiana, quella negativa legata ai rischi. Perché in realtà in altre parti del mondo, ho avuto l’onore e il privilegio di lavorare con il Comitato Olimpico internazionale e mi sono occupato delle Universiadi di Napoli come capo del risk management. Solo in Italia noi pensiamo ai rischi nell’esclusiva accezione negativa.

Occuparsi dei rischi significa creare valore, da cui il titolo del mio libro.

In pratica, come si può attribuire ai rischi un’accezione positiva? Non voglio diventare troppo tecnico. Il ciclo Bilderberg, che rappresenta un famoso approccio alla pianificazione, all’esecuzione, al controllo e al miglioramento continuo, è l’unico modo per consolidare processi virtuosi. Questo attraverso la standardizzazione del miglioramento continuo.

Guardare ai rischi e motivarli vuol dire esprimere potenziale. Bisogna liberare quei sassolini che sono sulla strada dell’imprenditore e fare in modo che il lastricato sia molto più fluido e molto più scorrevole verso i propri obiettivi.

Un esempio tra tutti: spesso occuparsi di rischi in produzione vuol dire generare delle economie durante il ciclo produttivo. Perché nella maggior parte dei casi le spese per aggiustare qualcosa che non funziona sono molto superiori alle spese che un imprenditore dovrebbe sostenere per prevenire i rischi.

Se riusciamo a prevenire tutti i vizi e i difetti di produzione, stiamo semplicemente sbloccando il potenziale e migliorando i processi. Toyota, per concludere, parla di total quality, quindi pensiamoci qualche minuto in più.

Occupiamoci di tutti i rischi possibili che il nostro processo può esprimere e una volta che siamo sicuri che andremo lisci, agiamo una ed una sola volta con la maggiore qualità possibile. Toyota ha fatto scuola proprio nel settore del risk management.

Questa distorsione culturale di cui ora ci stai informando, quella del rischio con accezione negativa, mi viene in mente che è simile a quella del fallimento nell’imprenditoria in Italia.

Quando uno ha difficoltà, un imprenditore che magari non è riuscito nell’impresa, viene tra virgolette marchiato per sempre in modo negativo in Italia. Nella cultura anglofona è l’opposto, perch quando uno ha fallito ha imparato una gran bella lezione e potrebbe essere pronto per nuove sfide.

Credo che sia come dire culturalmente sullo stesso binario questa accezione negativa del rischio in relazione anche a quella del fallimento. É un qualcosa che noi italiani dobbiamo assolutamente toglierci dalla testa, migliorare soprattutto. Sei d’accordo? .

Si, e ho affrontato questo tema proprio nel libro in uno dei primi capitoli. Una delle cose che più mi ha colpito nei miei primi vent’anni di esperienza professionale nel settore dei rischi è stato il valore negativo che gli imprenditori italiani danno al fallimento.

Lo considerano una questione personale, legata alla dignità e al rapporto con il contesto sociale e culturale in cui operano. Invece, come giustamente dici tu Emanuele, in altre parti del mondo il fallimento è visto come un modo per crescere e migliorarsi.

Non si tratta solo di una questione italiana, ma anche generazionale: secondo autorevoli pensatori, gli errori sono un’opportunità di apprendimento per i bambini di questa generazione, e sono fiducioso che anche in Italia qualcosa stia cambiando.

I miei figli, che sono ormai cresciuti. Quando erano piccoli vedevano gli errori come un’opportunità per trovare un modo più efficiente ed efficace di fare le cose, grazie alla loro innocenza e ingenuità. Noi, invece, ci imbarazziamo di fronte agli errori e pensiamo di aver fatto una figura da imbecilli.

Quindi, come dici giustamente, si tratta di un problema tipico dell’imprenditoria italiana. Tuttavia, sono lieto di constatare che, grazie alla globalizzazione, anche in Italia qualcosa sta cambiando. Le nuove generazioni, italiane e non, stanno andando in una direzione positiva, grazie all’adozione di alcune delle tendenze positive che si stanno diffondendo a livello globale.

Quello che mi ha colpito nel tuo libro è la semplificazione. Ma la semplificazione non significa rendere banale, ma vuol dire, dare la possibilità a noi imprenditori di avere dei modelli. Infatti la gestione del rischio sembra un universo senza confini, ma, grazie alla lettura che ho fatto, ho capito quelli che possono essere dei modelli.

Tu ci proponi degli schemi utilizzati dai grandi manager e che possono essere messi a disposizione di ogni tipologia di azienda, in particolar modo per le PMI italiane. Puoi darci qualche indicazione su quelli che possono essere dei modelli di esempio, di ispirazione per l’imprenditore medio italiano?

Abbiamo affrontato questo tema dopo aver parlato del fallimento. I modelli che ho descritto nel libro e che utilizzo quotidianamente nella mia professione rispondono alla stessa logica evolutiva. Essi derivano infatti dalle esperienze, sia positive che negative, che ho acquisito assistendo imprenditori che, in alcuni casi, sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi, e in altri casi no.

Il bagaglio culturale che mi porto dietro, e che mi ha consentito di costruire questi modelli, è stato influenzato dalle storie di successo e insuccesso che ho osservato in vent’anni di attività professionale.

Nel libro ho fatto riferimento a alcuni di questi modelli concreti, non tanto con l’intento di inventarne di nuovi, ma piuttosto di mettere in luce le migliori pratiche. Infatti, nel mondo ci sono miliardi di imprese che hanno aperto, chiuso, avuto successo o insuccesso, e questi modelli sono il frutto dell’osservazione di queste realtà.

Io dico sempre, utilizzando qualcosa che potrebbe essere molto caro a te che sei nell’editoria, che copiare da uno è plagio, ma copiare da tanti è ricerca. Mi reputo un ricercatore, quindi in questo senso ho fatto sintesi da tutte queste esperienze e creato dei modelli che oggi sono per la verità vincenti.

Ho fatto la sintesi di tante esperienze in vari settori merceologici perché per fortuna il risk management è molto trasversale, non è adeguato solo ad alcune tipologie di impresa. Tutti hanno bisogno di un risk based approach, cioè un approccio basato sulla consapevolezza dei rischi per sbloccare il potenziale e raggiungere gli obiettivi auspicati.

Nel mio libro faccio riferimento ad alcune casistiche concrete, in particolare nell’area della governance, che rappresenta una questione molto sensibile in quanto coinvolge il passaggio generazionale. Il boom economico degli anni ’60 e ’70, che ha portato una grande crescita in Italia, ha portato all’inserimento dei figli degli imprenditori nelle aziende di famiglia.

Oggi, l’Italia sta affrontando il passaggio generazionale, a differenza degli Stati Uniti. Il tema della governance, che riguarda la pianificazione successoria, la protezione patrimoniale e il passaggio generazionale, è uno dei temi centrali che ho trattato nel libro. Gli imprenditori dovrebbero occuparsi di questo aspetto in questo momento storico e il risk management dovrebbe fornire gli strumenti adeguati. Personalmente, mi sto specializzando in questo ambito.

Farei due premesse. Abbiamo pubblicato questo libro da pochi giorni. La seconda: non ci vuole tanto a capirlo, tu sei uno dei massimi esperti italiani e forse anche a livello internazionale di risk management.

Il tuo libro ha portato qualche cambiamento nella percezione delle persone intorno a te, grazie alla tua decennale esperienza nel campo?

Come saprai, il mio libro è stato pubblicato il 23 dicembre e mi sono preso qualche giorno di riposo, ma solo durante il Natale, Santo Stefano e qualche giorno tra Natale e Capodanno. Ho ricevuto decine di messaggi e mail da lettori, amici e anche competitors, il che non guasta, poiché dimostra che c’è stima nei miei confronti.

Alcuni messaggi da parte di imprenditori mi hanno emozionato ma non posso riportare i messaggi per questioni di privacy. Posso dire che sono stati molto confortanti. Mi hanno dato il coraggio di continuare nella mia professione e, perché no, di scrivere ancora qualche altro contributo per gli imprenditori.

Il vero obiettivo di questo libro è aumentare la consapevolezza e non ho la pretesa di risolvere i problemi di tutti. Non ho la bacchetta magica, ma se solo riuscissimo ad aumentare la consapevolezza di ciascun imprenditore rispetto ai rischi ai quali è esposto e alla consapevolezza che esistono soluzioni che egli può adottare per mitigare questi rischi e per efficientare i processi della propria azienda, il mio lavoro vuol dire che ha raggiunto lo scopo per il quale è stato concepito fin dall’inizio.

Per me Roberto è stato un onore averti aiutato a pubblicare questo libro.

Un libro per tutti gli imprenditori, ma direi anche professionisti e persone che magari penseranno un giorno di fare impresa.

Questo libro significa veramente mettere le mani avanti con una consapevolezza che ti farà risparmiare un sacco di soldi, e di ottenere dei risultati nel tempo più breve possibile. Effettivamente, se uno ci pensa, la strada che deve percorrere un imprenditore nient’altro è che evitare più ostacoli possibile.

Esatto, proprio questo, proprio questo.

Se qualcuno preventivamente fa un’azione per fare in modo che questi ostacoli non ci siano, credo che la velocità con cui si va verso il risultato sarà sicuramente superiore. Quindi grazie per il tuo lavoro.

Ti mando un abbraccio, un caro saluto. Spero un giorno di mangiare un bel po’ di pesce con te in giro per l’Italia.

Volentieri! Grazie Emanuele, è stato un onore per me partecipare con voi a questa esperienza.

Grazie e a presto.